Nei primi momenti dopo la fine della guerra, in maniera disordinata e diffusa ci furono atti, anche feroci di giustizia sommaria. Il governo De Gasperi si rese conto della necessità di procedere urgentemente a un processo di pacificazione per poter rimettere in piedi la legalità ed un apparato dello stato in un Paese ridotto ad una povertà estrema e allo sbando istituzionale.
L’amnistia voluta da Togliatti, ministro del governo De Gasperi, nel 1946 aveva come obiettivo di giungere quanto prima a una pacificazione nazionale, per evitare che l’epurazione rallentasse ulteriormente la ricostruzione materiale del paese. Con l’amnistia vengono scarcerati migliaia di fascisti, e molti altri in ruoli pubblici rimasero ai loro posti.
In qualche modo si doveva accettare che il fascismo (se pure di necessità per alcuni), era molto diffuso soprattutto nel funzionariato dello stato ed era difficile se non impossibile epurarlo completamente nello stato di degrado in cui si trovava l’Italia.
Ma l’amnistia non riuscì a fermare contrapposte propagande politiche sia sul suo significato sia sull’aspetto unitario della resistenza che prevalsero sul desiderio di stabilire una verità storica.
Ancora oggi paghiamo gli strascichi di questa pacificazione incompleta e della interpretazione non unitaria della resistenza.
L’antifascismo continua a subire, soprattutto in questi tempi in Italia (dove, come in tutto il mondo occidentale, la democrazia è sottoposta a tentazioni autocratiche), attacchi divisivi da una destra che nasce dal fascismo e non ha digerito i principi democratici della nostra costituzione. Attacchi purtroppo supportati anche da forze divisive nella sinistra che pretendono di rappresentare la Resistenza in maniera esclusiva, tentando di egemonizzarne il significato, spesso anche con metodi squadristi.
Queste contraddizioni sono più evidenti storicamente soprattutto a nord est del Paese, dove si sono consumati episodi di contrapposizione per lo stabilimento del nuovo ordine internazionale (tra occidente e area comunista filorussa) fino dal 1944.
Una via di uscita è stata rappresentata simbolicamente nel luglio 2000, quando il presidente Sergio Mattarella e il presidente Borut Pahor si sono presi per mano davanti alla foiba di Basovizza.

Forse non sarà possibile arrivare ad una memoria condivisa poiché ormai le ragioni e gli eventi hanno stratificato diversità difficilmente rapportabili, ma c’è la possibilità che diverse memorie, sia nelle sensibilità all’interno di un Paese, sia tra Paesi confinanti, possano convivere insieme.
Dopo 80 anni dalla vittoria al nazifascismo, in una Europa che se pure faticosamente ha percorso in questi anni una strada di unificazione, mantenendo la pace in queste terre allora martoriate, occorre sviluppare un sentimento di fratellanza inclusivo, accettando di conoscersi e rispettarsi con le proprie diversità, nel comune orizzonte di un’ideale democratico, di un mondo fondato sui principi dell’antifascismo da cui, appunto è sorto l’ideale che ha portato alla costituzione della Unione Europea.
Se vogliamo cercare di trovare la strada per una convivenza condivisa, accanto a Libertà e Giustizia dovremmo iniziare a parlare anche di Fratellanza, almeno nell’ambito del progetto europeo.

