Da quello che si legge sui giornali sembra che gli investimenti previsti sulla difesa europea (termine molto, forse troppo, generico) siano contrapposti alla spesa sulla salute.
Se mettiamo i soldi di là, dovremo toglierli di qua. Questo il ragionamento comune più semplice e diffuso. In verità, come accade sempre le cose sono più complesse. Da una parte non si può negare la scarsa considerazione del nostro governo per il Sistema sanitario Nazionale che versa da anni in condizioni sempre peggiori e in progressivo calo di investimenti reali (non nominativi come quelli contenuti nei diversi bilanci dello stato, che a malapena coprono l’inflazione). Dall’altra non si può nemmeno negare che la spesa pubblica non è fatta solo di sanità, ma anche di molte altre cose: non solo la spending review (ricordate Cottarelli?) ci farebbe spendere molto meglio i nostri soldi togliendo regalie e fonti di spesa minori, ma pure certi investimenti dubbi potrebbero essere evitati (cito soltanto il caso del campo per migranti in Albania e il ponte dello stretto). Inoltre non si può negare nemmeno che le spese per la difesa non sono soltanto spese per comprare cannoni ma anche ricerca, infrastrutture e altro che viene utilizzato pure (soprattutto) per la vita civile. Oltretutto se gli acquisti per la difesa venissero fatti in Italia aumenterebbe pure il fatturato complessivo del Paese.
Come sempre dovremmo evitare gli slogan per esprimere un parere ed invece ragionare tenendo uno sguardo più in alto per osservare meglio il panorama complessivo.
Noi tutti vogliamo più salute, più benessere con lavori ben pagati, migliore welfare. Ma tutto questo lo vogliamo in un quadro di libertà che spesso diamo per scontato, ma scontato non è.
Ci viene naturale pensare che a casa nostra, al nostro paesello, alla nostra nazione tutto rimarrà così com’è. Senza alcuno sforzo da parte nostra, dimenticando pure i sacrifici che hanno fatti i nostri Padri perchè noi potessimo goderne.
Ma questo è un quadro compatibile con il futuro? soprattutto tenendo conto della globalizzazione che stiamo vivendo? Siamo sicuri che è ancora possibile ragionare in termini di campanile o Nazione, o forse la difesa della libertà che sta alla base del nostro welfare va vista in termini più ampi, per esempio europei?
Qualcuno potrebbe pensare: finora ci hanno pensato gli Stati Uniti a difenderci, e allora affidiamoci ancora a loro. Facciamo parte di un blocco con confini più ampi, un’area allargata a tutto l’occidente, con l’USA come capofila. Ma sarebbe realistico pensare di contare ancora qualcosa, oppure soprattutto in epoca trumpiana, dovremmo accettare supinamente qualunque scelta del Grande Fratello Donald? La potremmo chiamare ancora Libertà?
Forse (per me certamente), se rimanessimo in un ambito europeo non dovremmo ridurci a vassalli di un imperatore e, seppure in un ambito più ridotto, potremmo essere protagonisti, compartecipi di scelte e strategie future.
Va certamente valutato, ma non frettolosamente, quale potrebbe essere il peso di una Europa Unita –
(che ricordo avere una popolazione ed un PIL complessivo decisamente più alti di quello dei due imperialismi a noi vicini. Russia e USA) sul piano internazionale. Va valutata la praticabilità, il percorso da fare. Cose non certo semplici.
Ma prendere coscienza di tutte queste cose, della necessità di un quadro di libertà (che nel mondo oggi è possibile solo in pochissime aree democratiche) per garantire ogni aspetto del welfare è assolutamente necessario anche per ogni cittadino che partecipa alla vita della sua comunità, per non orientare scelte pericolosamente miopi che ci esporrebbero ad un tracollo ben più ampio. Ricordiamo anche che spesso certi orientamenti popolari hanno portato a peggioramenti radicali delle condizioni sociali di tutta la popolazione (citiamo non solo paesi lontani come l’Afghanistan o l’Iran, ma anche Paesi molto più vicini a noi, o anche nella nostra Storia, per esempio l’avvento del Fascismo con le sue tragiche conseguenze).
Fabrizio Turrini

