La vita di Laura Santi è finita ieri mattina a mezzogiorno. Lo ha scelto lei, era a casa sua, nel suo letto. Era quello che voleva e il punto finale della sua battaglia per avere il diritto di accedere al suicidio medicalmente assistito.
Nessuno ci ha mai chiesto se avessimo voluto nascere, viviamo una vita nella quale poche libertà ci sono concesse. Il dono della vita può essere meraviglioso, ma anche tremendo, soprattutto nelle sue fasi finali. Forse l’unica vera libertà che abbiamo è quella di scegliere di vivere o morire. Questa non è una elegia al suicidio, anzi vorrebbe essere una celebrazione al dono più importante che abbiamo ricevuto, la libertà di disporre di noi stessi.
Alcuni per credo religioso pensano che la vita non ci appartiene, è di qualcun altro più importante di noi. Che sia un Dio o una ideologia sono liberi di crederlo e disporre di loro stessi. Ma imporlo agli altri è profondamente ingiusto soprattutto in determinate situazioni di estremo dolore e disperazione.
Laura Santi amava moltissimo la vita. Da quando la aveva colpita una terribile malattia la amava ancora di più e ha apprezzato molto più intensamente quei momenti di pace e felicità, sempre più rari, che le capitavano.
Sapeva dove sarebbe arrivata e per sua precisa scelta ha voluto decidere di essere lei a scegliere. Come dovrebbe essere in un Paese degno di essere chiamato civile. Lo ha fatto per se stessa, ma anche per chi verrà dopo di lei in un Paese in cui la politica da decenni sospende ogni decisione in merito, dove solo la Magistratura, sollecitata da tanti cittadini, da tanti casi terribili, ha surrogato in parte e come può la mancanza di una legge.
A casa sua nel suo letto, con i suoi 50 anni, di cui metà trascorsi convivendo con la malattia, col corpo oramai quasi completamente paralizzato, se n’è andata auto-somministrandosi il farmaco letale, e insieme liberatorio, attraverso il suicidio medicalmente assistito.
Non aveva più nessuna autonomia e dipendeva completamente da suo marito Stefano. La sua giornata era scandita dalla sofferenza, dal dolore, da una serie di gesti necessari per tenerla in vita, da un’immensa fatica. Sapeva che ci sarebbe arrivata e ha lottato per decidere da sola.
Le ultime parole, affidate all’associazione Luca Coscioni, sono in qualche modo il suo testamento.
“La vita è degna di essere vissuta, se uno lo vuole, anche fino a cent’anni e nelle condizioni più feroci, ma dobbiamo essere noi che viviamo questa sofferenza estrema a decidere e nessun altro. Io sto per morire. Non potete capire che senso di libertà dalle sofferenze, dall’inferno quotidiano che ormai sto vivendo. O forse lo potete capire. State tranquilli per me. Io mi porto di là sorrisi, credo che sia così. Mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato. E vi prego: ricordatemi”.
Fabrizio Turrini

