Questa, senza dignità, non è la mia Europa!

Da europeista convinto, consapevole che solo mettendo assieme tutti gli stati del Vecchio continente potremmo avere una chance per rispondere alle sfide del mondo globale, dico che questa, che oggi vediamo subire passivamente le balzane iniziative di quello che dovrebbe essere il suo principale alleato, non è la mia Europa.

Ci si poteva comportare in diverso modo. Dovevamo scegliere: facciamo come i cinesi che hanno reagito a muso duro o come altri come il Giappone che hanno presto ceduto alla richiesta di cassa di Trump? Noi invece abbiamo pure fatto peggio. Forse contavamo in quello che avrebbe dovuto essere un rapporto privilegiato di qualche capo di governo che si era autonominato “ponte” con l’amministrazione americana per un discutibile rapporto personale di simpatia. Certamente eravamo deboli per le continue spinte centrifughe di alcuni Paesi. Alla fine, qualunque sia il motivo, è andata malissimo e non abbiamo ottenuto nulla nel gioco al bluff del presidente americano. Perdipiù ora si cerca pure di presentare questo disastroso risultato come un successo.

I dazi per le nostre merci da esportare negli USA triplicano e oltre. La dipendenza dagli USA aumenta tremendamente. Con questi accordi la Von der Leyen si è impegnata a comperare dagli USA 750 milioni di dollari di gas e petrolio: un fornitore obbligato per la necessità energetica che conosciamo ma che prima potevamo gestire liberamente sul mercato. Ora, in aggiunta dovremo anche investire per 600 miliardi in USA orientando in questo modo oltreatlantico, il capitale finanziario europeo.

C’è di più: il riarmo imposto da Trump, che pur digerito male, poteva essere gestito nei nostri Paesi per affrancarci industrialmente e militarmente dal Grande Fratello, porterà ulteriore danaro e dipendenza dagli USA essendoci impegnati a comperare da loro per 350 milioni di dollari; il 3,5% della spesa precedente, ovvero la maggior parte di quel 5% che già aveva fatto scalpore nelle settimane scorse.

Paradossale il discorso dei dazi che in generale dal 4,8 salgono al 15% più che triplicando. Dire che è stato un successo rispetto a quanto minacciato è grottesco. Tenendo anche conto dell’attendibilità delle minacce USA: la stessa scarsa attendibilità non si vede come non possa allargarsi in futuro anche a questi accordi che potranno sempre essere stracciati da un imprevedibile Trump che lo ha già fatto in molte situazioni precedenti (vedi accordi NAFTA nel 2018).

Per quanto ci riguarda i dazi su ferro e acciaio, essi rimangono al 50% e la discesa dal 27,5% al 15% per le auto europee importate in USA, è solo un contentino (che riguarda in pratica solo l’industria tedesca) perché avrà come contraltare una contemporanea discesa dei nostri dazi sulle auto americane, dal 10% al 2,5%.

Questi sono i numeri, riportati solo grossolanamente, visto che riconosciamo di non essere esperti del settore. Tuttavia ci preme fare anche una osservazione “estetica” su come l’Europa si è posta di fronte all’arroganza del pericoloso personaggio che oggi regge le sorti del mondo.

Mentre la parte statunitense si è posta nei nostri confronti con muscolare arroganza addirittura insolente (ricordate le parole di Vance?), modificando più volte i termini delle proposte sul tappeto, la risposta europea è stata fin dall’inizio così mite da non sembrare mai davvero essere una controparte dall’altro lato del tavolo.

Certo, la divisione interna causata dal nazionalismo sovranista è un dato di cui tenere conto nella difficoltà di mostrare un solo volto dell’Europa, certo le promesse di poter contare sull’amicizia personale di qualche capo di governo era prevedibilmente solo un’illusione, ma rappresentare l’Europa con l’atteggiamento dimesso e remissivo della Von der Leyen di fronte a uno straripante Trump è stato di per sé il modo, certamente coerente con i risultati, peggiore ed inaccettabile per rappresentare quello che è il gruppo di nazioni con il più importante PIL al mondo e con il doppio di abitanti degli USA. Non saremo certo uniti come dovremmo essere per contare davvero qualcosa in questa epoca di imperialismi in trasformazione, ma chinarci così, anche nella postura, al gioco statunitense è stato oltre che una disfatta economica anche un disperante allarme per il disegno ideale del nostro futuro come Europa.

Ora non possiamo farci prendere in giro dai politici di turno. Gli stessi che fino a ieri giudicavano inaccettabile un accordo sopra il 10%, ora dicono che questo accordo con Trump è un successo perché poteva andare peggio: lo dicono solo perché vogliono retare incollati alla loro sedia.

Preoccupiamoci invece, perché con queste prospettive politiche e questi rappresentanti il nostro futuro di italiani ed europei andrà certamente peggio. Quel punto di PIL italiano in meno, quei 38-40 miliardi in più da pagare e quei circa 120 mila posti in meno di lavoro sono solo l’inizio. Se si va avanti così andrà molto peggio.

Fabrizio Turrini

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